Diventare personaggio

 

Andrea Camilleri s’è fatto personaggio in carne e ossa, la proclamazione è avvenuta al teatro greco di Siracusa l’11 giugno, davanti a cinquemila persone. Lo snocciolarsi dei racconti si è svolto all’interno di un monologo durato un’ora e mezza. Camilleri si è fatto Tiresia e insieme al pubblico ha solcato il mare del tempo, dall’antica Grecia ai nostri giorni, mostrandoci le innumerevoli figure del celebre veggente, e intonandone un accento nuovo: “Tiresia sono”.

Ma chi è veramente Tiresia? Da Esiodo a Sofocle, da Apollinaire a Eliot, molti sono gli autori che hanno riportato in vita il profeta, infatti, del personaggio originario esistono molteplici proiezioni, distorsioni, amplificazioni, riduzioni. Per certo sappiamo che Tiresia era cieco e indovinava, che era stato maschio e femmina, e poteva reincarnarsi. Tiresia rappresenta il grande mistero dell’essere umano: la manifestazione della duplicità. L’evento sul monte Citerone ne sancisce l’inizio. I due serpenti ravvolti in spire nell’atto sessuale sono la visione uroborica dell’inizio. L’inizio di tutto, il centro della coscienza non ancora formata, la coscienza dell’uomo. La vista è l’elemento cardine di quella visione, a cui fanno capo la curiosità, la trasgressione, la ricerca. Ma Tiresia, l’indovino, era stato punito con la cecità poiché aveva conosciuto e rivelato il mistero.

La metamorfosi è la chiave. Tiresia maschio diventa femmina e poi nuovamente maschio, perché l’evoluzione, per potersi definire tale, gioca ad alternarsi. Per distinguersi, per riconoscersi, per intuire quello che c’è al di là della forma a cui ora apparteniamo. Forma. Tiresia può concedersi il lusso di plasmarla, trasmutarla, gioca con il divenire diventando più cose. Continua a comparire in diverse epoche, assumendo ora una posa, ora un’altra. A cosa serve la letteratura? A questo, a diventare personaggi ed esserne consapevoli.

Camilleri dice “diventato cieco mi è venuta una curiosità immensa di capire, no – è un verbo sbagliato – di intuire cosa sia l’eternità, quell’eternità che oramai sento così vicina a me. E allora ho pensato che venendo qui, in questo teatro, fra queste pietre veramente eterne, sarei riuscito ad averne almeno l’intuizione”. Forse la luce della cecità fa presentire qualcosa che va oltre, una memoria millenaria che scorre e continua a scorrere lambendo le nostre esistenze. Forse il buio della cecità amplifica la capacità immaginifica, e paradossalmente diventa grande visione. Lo scrittore avverte, come già aveva sostenuto Borges, che il teatro è il punto di collegamento con l’eternità: mettere in scena la vita è il gioco della vita stessa.

Con lo spettacolo dell’11 giugno, Camilleri, oltre che proclamarsi personaggio, dichiarandosi Tiresia in una delle sue sette vite “ma non vi dico questa qual è” citando le sue parole, ha messo in evidenza un’altra sottigliezza, un accenno. Il desiderio rivolto agli spettatori di rivedersi tutti insieme lì, tra cento anni, nello stesso luogo, in una sera come quella. È un augurio, una dichiarazione di fiducia, un invito a prendere coscienza che tutte le persone possono farsi personaggio. Il teatro è l’uomo, parafrasando Borges “noi tutti siamo il teatro, il pubblico, gli attori, la trama, le parole che udiamo”. Ciascuno di noi è tutte queste cose insieme, nello stesso istante. Farsi personaggio non significa solo vedersi dal di fuori, vedersi agire, non è solo distanza, ma anche sguardo molteplice, diventare personaggio significa darsi nuove possibilità, aprirsi, uscire dal confine culturale, storico, sociale, e sperimentarsi attraverso la conoscenza.

La suggestione della rappresentazione è stata simile all’emozione che prende vita quando un nonno racconta ‘un cuntu’. Camilleri-Tiresia è un contastorie, un nonno attorniato da fanciulli, i quali, dopo il calore delle corse spensierate, si fermano, si adagiano attorno a lui per dissetarsi alla fonte delle sue storie. Il potere della narrazione è magnetico oltremisura, a quella cantilena rauca e spezzata, dolce e familiare, tipica del gusto del racconto, si alterna un’enfasi sonora, una declamazione a tutto volume di versi lungamente sognati. Camilleri incanta. Le sue storie appartengo già a quel gioco del Tempo che chiamiamo Eternità.

 

 

 

 

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