Nea in collisione

Avevo aperto gli occhi. E li avevo richiusi. Un bagliore caldo ruotava sopra le mie palpebre. Avevo aperto gli occhi, ma non vidi che lampi lattiginosi allungarsi e dilatarsi. Li avevo aperti ancora e ancora, ma ero immerso nell’ombra. Alla fine, dalla rima delle ciglia tremolanti penetrò una luce densa e fluida. Li spalancai: non vidi altro che volti. Allungati, inespressivi, riluttanti e perplessi. Erano in cerchio, io ne facevo parte, eravamo seduti attorno al fuoco. Avevo chiuso gli occhi e li avevo riaperti. Continuai così per ore. Tutto sembrava ruotare. Volti o stalattiti. Fiamme. Ombre danzanti sulle pareti di roccia. Terra rossa e calda tra le cosce, sopra le ginocchia. Me la sentivo in gola e sulla fronte. Avvolto nel tepore delle mie palpebre nuovamente richiuse, m’immaginavo la scena infinite volte. Dov’ero? E voi, chi eravate? Sentivo già da allora, che sogno e veglia in me facevano uno strano gioco, e da lì, io riuscivo a risalire verso la cima del monte innevato, con un balzo della mente ero lì. E noi ascoltavamo ancora versi di animali spaventosi, indecifrabili e terribili. Gli stessi che un giorno il vento trasformò in canti. Le mie assenze erano radicali. Avevo iniziato con le radici, le masticavo per non sentire quella voce. La tua. Ma adesso, seduto ancora qui, in cerchio, sono venuto a cercarti.

Sono venuto a cercarti perché il tuo richiamo era più forte della mia volontà. Sono venuto a cercarti perché stavo diventando una pietra. Non eri presente lì in mezzo a noi, ma in un luogo chiuso, il luogo più chiuso del mondo, un luogo sprofondato, come un ventre, come una notte, come una madre. Sentivo che il vento cambiava solo per me. Sazio di radici e d’aria. Da dove proveniva il tuo richiamo? Solo le fiamme ardenti, con le loro danze, mi hanno mostrato la via per venire a te.

Il percorso che avevo intrapreso era arduo. Dopo un po’ non capii più se era selva o città. Le due immagini si sovrapponevano – in trasparenza – una sull’altra, e una terza ancora oggi mi è ignota. Sentieri rupestri e viali illuminati da lanterne, grattacieli persino, e foreste nere e verticali, poi, una manciata di autovetture impazzite. Dov’eri? Non conoscevo quei luoghi, mi sarei perso e riperso, e tuttavia ti cercavo. Le strade si ripetevano una dopo l’altra, tutte uguali, un rumoroso labirinto. Le insegne lampeggiavano, pioveva in un altro racconto, ma lì, erano rimaste solo grandi pozzanghere verdi, dove poco prima un brontosauro si era abbeverato.

Sentivo il tuo richiamo. Dov’eri? Quella città, o queste parole, ti nascondevano a me. Dov’eri? Quel chiasso non copriva la tua voce, la tua voce non modulava frasi, solo richiami, sibili, suoni che avevano senso solo per me, e per me solo significavano: vieni.

Il semaforo alternava posizioni, belle statuine e automi sincronizzati, io scrutavo con stupore questo strano gioco dall’andare e del venire. La gente del cerchio in quel luogo, come i cocci di un vaso in frantumi, si era dispersa. Non avevano più nulla da raccontarsi. Punti schizzati nello spazio, un fermoimmagine, solo traiettorie, riflessi, aloni. Punti sospesi. On-line. Off-line. Stazioni fantasma prossime a scomparire. Continuavo a camminare, mi arrampicavo ora su un palo, ora su un’antenna, ora su una ringhiera per vedere dove il sole andava a morire. Una panchina seminascosta mi invitava a sedere. Da lì osservai la falce d’argento tra le dita di rami in amore di antichi aceri.

Mentre guardavo con cuore gonfio la caduta delle foglie rosse – il loro sovrapporsi e sfatare, come vecchi strumenti di astrologia – vedevo formarsi nuove costellazioni sul suolo, o enigmi da decifrare. Dopo un frullìo fra le fronde in alto, un cappello nero piombò lì in mezzo a scompaginare le foglie. Un brillio nel cielo colpì il mio sguardo. Il funambolo a tredici metri d’altezza mi sorrise. E io lo salutai. Sulla panchina trovai un giornale logoro, presi a sfogliarlo. Cose su cose, congegni brillanti, giradischi e abajur, cose su cose, ammiccanti, seducenti, e poi, da un vecchio modello di cuffie stampato lì a caso, un sibilo o un serpentello si stacco dal foglio increspato, e la tua voce fu come un’esplosione. Dov’eri? Da dove veniva la tua voce? Vibrazioni zuppe di pioggia, salsedine e loto. E perché mi chiamavi? Macchie, piccoli innocui stratagemmi di Neanderthal in collisione.

Nea

Mi sono quasi arreso, camminando sul ciglio di un marciapiede grigio. Ti ho cercata ovunque, ho attraversato il lungo viale verso Gordon Square, e da un’altra parte, tra una pagina e un soffio, qualcun altro stava camminando in quel luogo, ma in senso inverso – e non sapeva ancora che sarebbe morto – annegato in un altro sogno. O fiume. O chissà. Una vecchia valigia d’argento gli era caduta dalle mani e si era aperta, spaccata per terra come una melagrana matura. Poi una nuvola di coriandoli di porpora si era lavata verso il cielo. Piccole lucciole attorno a un antico campanile. Continuai a camminare lungo quel viale alberato, le auto continuavano a scorrere con un’innaturale cadenza, o era lo scroscio della corrente del fiume? La corrente, il flusso, la continuità. Il grande orologio non aveva lancette, e tu lo sapevi, lo hai sempre saputo. O mentivi?

Da un palazzo viola, debolmente pennellato dal giallo crepuscolo, fuoriusciva a singhiozzi uno squillare. Era lo squillo di un vecchio telefono. Squillava, squillava. – Ehi voi, lo sentite? Qualcuno vi chiama! – Mi fermai lì davanti alla finestra, in attesa che qualcuno rispondesse. Ma niente. Forse in casa non c’era nessuno. E squillava e squillava. Mi lasciai alle spalle il palazzo ma lo avvertivo ancora. – Dannazione! perché nessuno risponde? – Corsi verso l’incrocio, l’attraversai senza curarmi delle vetture. Camminai che fu notte, scese la nebbia. E ancora lo squillo mi ossessionava. Trovai piccoli fiori dentro le tasche. Rientrai nel parco. Da una minuscola casetta di legno illuminata in mezzo alle fronde, provenivano bisbigli e borbottii, mi avvicinai sempre di più. Un burattino di rosso vestito con una piccola lancia si scagliava verso il verde mostro. Ma il dinosauro tuonò: “Se mi uccidi adesso, non lo saprai mai”.

Graziana Garofalo

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2 comments for “Nea in collisione

  1. Alessandro
    4 Giugno 2025 at 09:53

    Magnifico ⭐

  2. Antonio
    4 Giugno 2025 at 22:35

    Bello! continuerà?

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