La strada dell’immaginazione

 

 

In cammino con Stevenson di Tino Franza, edito da Exòrma edizioni, è un romanzo sulle orme di Stevenson, ma ancor di più è un omaggio a tutti i grandi pensatori che hanno fatto del ‘camminare’ un momento essenziale della loro crescita spirituale e artistica.

Da Le Monastier-sur-Gazeille a Saint-Jean-du-Gard due viaggi corrono paralleli. L’autore riprende e rivive insieme al lettore alcuni frammenti del diario di viaggio dell’autore scozzese, intitolato Viaggio nelle Cevennes.

Il primo importante viaggio, quello che precede ogni cammino, è il grande viaggio della Lettura. “Volevo inseguire il fantasma di qualcuno, camminare da un luogo a un altro su vecchie piste sterrate; appagare curiosità e assecondare un certo spirito d’avventura; scrivere un libro forse. Questo volevo. Emulare in fondo i personaggi letterari dell’adolescenza: jim Hawkins, Ismael, Ulisse, Corto Maltese … Seguirne il richiamo. Dovevo i miei sogni migliori a Verne, Salgari, Haggard, Pratt … e a Stevenson. Alla lettura di una delle più belle storie mai scritte: L’isola del tesoro, simbolo e incarnazione dell’avventura perfetta.” Il viaggio è preceduto da una incontenibile curiosità per l’ignoto. Conoscere nuove terre, abitudini, lingue, vivere come vivono gli altri, per scoprire poi alla fine del percorso, quasi increduli, che il vero grande ignoto eravamo noi stessi. Il fuori fa da specchio a continenti interiori poco esplorati. È questa la bussola che orienta gli itinerari della lettura, del camminare e dello scrivere.

Il romanzo è tutt’altro che un asciutto reportage, vi è sì la documentazione sugli spostamenti, i luoghi, le date, gli incontri, gli episodi, gli imprevisti, ma a questo si aggiunge un itinerario più intimo, riflessivo. L’appassionata prosa ci trasporta all’interno di una dimensione fluttuante, v’è il gusto dell’immaginazione in fieri, il protagonista si lascia guidare dalle voci intorno, dalle canzoni, dagli scorci, da inattesi ricordi. Voler smarrirsi, attardarsi, forse lasciarsi conquistare dal mondo straniero.

Intraprendere un lungo viaggio a piedi significa esser domintati dal senso della scoperta, aver non solo energia e volontà, ma soprattutto grande predisposizione di spirito. L’autore dialoga con gli scrittori che sono stati partecipi della sua formazione, che hanno risvegliato in lui la passione per le passeggiate solitarie. Numerose sono infatti le citazioni che mettono in evidenza aspetti peculiari del ‘buon camminatore’. Poeti, pensatori, filosofi appartenenti a epoche differenti, durante le loro escursioni, hanno sperimentato che la condizione necessaria dell’arte del camminare è: la solitudine. Ognuno deve seguire il proprio ritmo, il passo, il battito del cuore, dar libera iniziativa al proprio agire. Ciascuno deve orientarsi liberamente, fiutare il luogo attraverso una percezione personale. “Voglio vedere le mie vaghe nozioni fluttuare come la lanuggine del cardo e non impaniate tra i rovi e le spine della discussione”, l’autore, citando Hazlitt, mette in evidenzia il pericolo della distrazione nell’aver una compagnia. Durante tutto l’evolversi del romanzo, il protagonista ritornerà più volte sul ‘canone della solitudine’, e in fine combattuto da dubbi, avanzerà l’ipotesi che sì, avere un compagno può rivalersi un valore aggiunto al cammino, a patto però che si tratti del compagno perfetto. La complicità resta comunque un elemento virtuoso, poiché chiunque si metta in cammino è desideroso di condividere.

Un altro filo conduttore è quello della resistenza. La resistenza che interessa non solo i fatti storici raccontati nel libro, come la vicenda dei Camisardi, i protestanti francesi che si ribellarono a Luigi XIV,  o il luogo della Croix de la Donne, simbolo della Resistenza del ’44, ma anche resistenza intesa nella sua accezione più ampia, ovvero quella fisica e psicologica, resistenza come momento di grande prova, conoscenza di sé e della propria forza. Si parla di ‘camminatori dalla grande resistenza’ perché il cammino per quanto possa essere incantevole, è frutto di dura fatica e sudore, di pause e momenti di scoramento. Il vero viandante affronta questi momenti come rituali iniziatici, come prove di forza, di resistenza appunto, che non possono esser esclusi dalla genuina esperienza del viaggio.

Nel titolo originale del suo diario, Stevenson aveva anteposto al luogo il nome della sua asinella Modestine, poco apprezzata durante la prima parte del viaggio a causa della lentezza, ma poi divenuta compagna unica e insostituibile, diventata forse elemento simbolico del lungo percorso. Nella lettera introduttiva al suo libro, l’autore scozzese scrive: “siamo tutti viaggiatori in quella che John Bunyan chiama desolazione di questo mondo, tutti viaggiamo con il nostro asinello e il massimo che possiamo aspettarci dal nostro viaggio è di trovare un amico sincero. Davvero fortunato è il viaggiatore che ne trova più di uno”.

 

Graziana Garofalo

 

 

 

Autore: In cammino con Stevenson

Autore: Tino Franza

Editore: Exòrma

Anno: 2015

 

 

 

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